Che cosa hanno in comune il Tribunale delle Imprese, inventato dal Decreto Cresci Italia, e una recente sentenza della Corte d’Appello Federale per il Primo Circuito sulle spese legali in un caso di copyright?

Niente, a prima vista. Leggendola, però, qualche idea può venire.

In breve i fatti. Mr. Ibiski, intenzionato a costruire la casa dei suoi sogni consulta due studi di architettura, T-Peg e VTW. Che fosse proprio la causa dei suoi sogni lo dice il giudice, noi ci fidiamo: “Stanley Isbitski wished to build his dream house on a plot of land he owned in Salisbury, New Hampshire”. Noi ci chiediamo, invece, quante sentenze italiane siano scritte in un linguaggio così comprensibile….

T-Peg prepara il progetto preliminare, lavora con il cliente per metterlo a punto e lo registra al Copyright Office nel maggio 2001 (il progetto, non il cliente, of course!).

Qualche tempo prima, nel 2000, il cliente aveva mostrato il progetto preliminare (non registrato) a VTW. Questo ci lavora sopra e completa il progetto nel 2002 “with significant, minutely detailed input from Isbitski”. Iniziano i lavori, la proprietà viene venduta a Mr. Dupee ma “at that point, the home apparently reflected T-Peg’s registered design”.

Il 23 ottobre 2003 T-Peg cita VTW e Isbitski per “copyright infringement”. Il 9 febbraio 2005 la Corte Distrettuale (il giudice di primo grado) respinge la domanda di T-Peg.Il 18 agosto 2006 la Corte d’Appello accoglie l’appello di T-Peg e ritiene che VTW abbia copiato il progetto.

Cambio di inquadratura: Italia, Sezione Specializzata in P.I. del Tribunale di …. (non lo dico), il 30 maggio 2006 un’impresa, dopo avere ottenuto una descrizione, introduce una causa per contraffazione di marchi e concorrenza sleale. Il 23 maggio 2012 si terrà un’udienza nella quale l’attrice chiederà la sostituzione del ctu. Questo è stato incaricato oltre un anno prima di quantificare il danno, ma non ha depositato la relazione nel termine previsto e non risponde alle mail, ai fax e alle raccomandate a.r del ctp. Difficile pensare che se il giudice non avesse ritenuto provata la contraffazione e il danno avrebbe disposto ctu contabile. Sono passati quasi sei anni, e siamo a poco più della metà (teorica) del processo. Nel frattempo, però, fortunatamente, l’Italia sta crescendo, e il contributo unificato di iscrizione a ruolo per le controversie in materia di proprietà intellettuale è stato prima quadruplicato e poi solo raddoppiato.

Torniamo in America, alla causa tra T-Peg e VTW. Il processo prosegue e “After considerable delay involving more dispositive motions, some mediation efforts, and an attempt at an interlocutory appeal, the case went to trial on September 17, 2009.

Ancora in Italia: se l’impresa italiana sapesse quanto è durato il processo americano, si consolerebbe; i suoi sei anni non sono una rarità…

La Corte Distrettuale decide in sei giorni (più o meno il tempo del deposito di una sentenza in Italia…): respinge la domanda dell’attore e lo condanna a pagare 35.000 dollari di spese legali, a fronte della richiesta del convenuto di 200.000 dollari (e qui sono gli avvocati italiani che tirano un sospiro di sollievo, è inutile andare in America…).

A proposito delle spese legali richieste dal convenuto, è interessante notare che il valore della causa era, tutto sommato, modesto: 66.350 dollari, circa un terzo delle spese richieste dal convenuto (in assenza di tariffe, i topi ballano).

Entrambe le parti appellano. T-Peg perché non vuole pagare, VTW perché vuole tutto. Il 16 febbraio 2012 la Corte d’Appello respinge le due impugnazioni e compensa le spese del secondo grado, nonostante la richiesta di VTW, che non ha convinto il giudice:” We think $35,000 seems an adequate sum . . . for the litigation as a whole . . . .”.

In tempi di abolizione di tariffe, la sentenza è interessante perché indica come sono trattate le spese legali negli Stati Uniti, nei casi in cui i giudici possono condannare alle spese. La regola, chiamata non a caso American Rule, infatti, è che ognuno sostienga le proprie, salvo che la legge non preveda il contrario, come in caso di copyright, di antitrust, di diritti umani, di corruzione, etc..

La guida in materia di copyright è una sentenza della Corte Suprema del 1994: Fogerty v. Fantasy, Inc., 510 U.S. 517 (1994).

In questa decisione il giudice Rehnquist analizza le ragioni per cui gli Stati Uniti proteggono il copyright (che, ricordiamolo per i distratti, protegge la poesia e la pittura, ma anche la musica, il cinema e una parte non trascurabile di Google e Facebook), richiamando diverse sentenze della Corte Suprema.

Ad esempio, Twentieth Century Music Corp. v. Aiken, 422 U.S. 151 (1975) dove la Corte rileva come il copyright costituisca un bilanciamento di interessi concorrenti: la creatività deve essere incoraggiata e ricompensata, ma le ragioni private servono, in ultima analisi, a promuovere la causa di un’ampia disponibilità per il pubblico di letteratura, musica e altre arti. L’effetto immediato del copyright è assicurare un’equa remunerazione agli autori, ma lo scopo ultimo è stimolare la creatività artistica nell’interesse della collettività (sarebbe interessante comparare l’essenza utilitaristica del copyright con quella giusnaturalistica del diritto d’autore e vedere come i diritti della personalità siano trattati peggio dei diritti economici, ma non è questa la sede. Magari ci torniamo un’altra volta)

Nella successiva Feist Publications, Inc. v. Rural Telephone Service Co., 499 U.S. 340 (1990) la Corte ha detto che lo scopo principale del copyright non è ricompensare il lavoro degli autori, ma promuovere il Progresso delle Scienze e delle Arti Utili (nelle settecentesche parole della Costituzione Federale). A questo scopo, il copyright assicura agli autori il diritto ad esprimersi, ma incoraggia gli altri a costruire liberamente sulle idee e sulle informazioni comunicate dalle opere (sarebbe interessante rileggere questa sentenza dopo Golan v. Holder, PDF).

Su queste premesse il giudice Renquist dice: “Poiché il copyright law in definitiva ha lo scopo di arricchire il pubblico dandogli accesso ad opere creative, è particolarmente importante che i suoi confini siano chiarimenti nel modo più chiaro possibile. A questo scopo, i convenuti (defendants) che propongono difese fondate dovrebbero essere incoraggiati a difendersi in giudizio (to litigate them) nella stessa misura in cui gli attori (plaintiffs) sono incoraggiati a introdurre azioni di contraffazione fondate (meritorious claims of infringement)”.

L’atteggiamento di un giudice come Rehnquist, Chief Justice della Corte Suprema dal 1986 al 2005 (e quindi per diciannove anni uno dei giudici più importanti del mondo), induce una riflessione sulle scelte italiane sul processo in materia di proprietà intellettuale.

Il Tribunale delle Imprese è stato previsto “senza nuovi o maggiori oneri e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente” (art. 2.5. D.L. 1/2012). E’ ragionevole pensare che se i giudici delle ex-Sezioni Specializzate non impareranno l’arte della magia, i tempi delle cause si allungheranno ulteriormente.

Il contributo unificato è stato duplicato, e le cause in materia di proprietà intellettuale sono state equiparate a quelle in materia di società di capitali. Fortunatamente, comunque, il maggior gettito derivante dall’aumento del contributo unificato è destinato a un fondo per la realizzazione di interventi urgenti in materia di giustizia civile, amministrative e tributaria (e quindi non specificamente in materia di proprietà intellettuale).

L’Unione Europea, a partire dal 1994, ha imposto tribunali specializzati per i marchi comunitari, e dal 2002 per il design comunitario. Il Regno Unito ha previsto giudici specializzati per la proprietà intellettuale. Gli Stati Uniti, dove l’amministrazione della giustizia è un affare più serio che da noi, hanno giudici specializzati (specializzati davvero, non specializzandi…).

L’innovazione tecnologica, e quindi la proprietà intellettuale, è il motore dell’economia odierna e futura. Chissà se le nuove, dirompenti iniziative italiane in materia di startup ci metteranno al passo con le nazioni più evolute…

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COMMENTI
  • Eugenio Pelosi
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    Ciao Donato,

    davvero complimenti per il tuo post.
    L’ho letto davvero con piacere: è interessante, è brillante ed è pieno di contenuti.
    Davvero complimenti !
    Ciao e buona domenica,

    Eugenio

    • admin
      Rispondi

      Grazie Eugenio!

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