Un altro “marchio regionale” è stato dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale.
Il 12 aprile 2012 (sentenza n. 86 del 2012 ; il link porta alla pagina di ricerca) la Corte aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 21 della legge della Regione Marche 29 aprile 2011, n. 7 che aveva introdotto un marchio “di origine e di qualità”, denominato “Marche Eccellenza Artigiana (MEA)”. Questo marchio, secondo la Corte, “con la chiara indicazione di provenienza territoriale (Marche), mirava a promuovere i prodotti artigianali realizzati in ambito regionale, garantendone per l’appunto l’origine e la qualità”. La norma era ritenuta in contrasto – tramite l’art. 117 Cost., che obbliga le Regioni a rispettare l’ordinamento comunitario – con i divieti di misure equivalenti alle restrizioni degli scambi comunitari posti dagli artt. 34 e 35 TFUE.
Pochi mesi dopo la Corte Costituzionale (sentenza n. 191 del 19 luglio 2012 ; il link porta alla pagina di ricerca) aveva dichiarato, l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Lazio 5 agosto 2011, n. 9 che aveva istituto un elenco di prodotti lavorati nel territorio regionale con materie prime regionali (Made in Lazio – tutto Lazio), di prodotti lavorati nel Lazio con materie prime derivanti da altri territori (Realizzato nel Lazio) di materie prime appartenenti al Lazio commercializzate per la realizzazione di altri prodotti (Materie prime del Lazio) perché “[l]e disposizioni degli articoli da 34 a 36 del TFUE – che, nel caso in esame, rendono concretamente operativo il parametro dell’art. 117 Cost. – vietano, infatti, agli Stati membri di porre in essere restrizioni quantitative, all’importazione ed alla esportazione, “e qualsiasi misura di effetto equivalente”.
Un anno esatto dopo la sentenza sul marchio MEA, il 12 aprile 2013 la sentenza n. 66/2013 (il link porta alla pagina di ricerca) della Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della Legge della Regione Lazio 28 marzo 2012, n. 1.
La legge regionale aveva istituito un “marchio regionale collettivo di qualità, per garantire l’origine, la natura e la qualità nonché la valorizzazione dei prodotti agricoli ed agroalimentari” che, secondo il ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sarebbe in conflitto con gli articoli 34 e 35 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e quindi l’articolo 117, primo comma, Costituzione, oltreché l’articolo 120 della Costituzione.
In parole più semplici, il Governo italiano riteneva che la legge regionale avesse introdotto una misura idonea a discriminare i prodotti non laziali da quelli laziali, e quindi una misura di effetto equivalente alle restrizioni agli scambi intracomunitari (artt. da 34 a 36 TFUE).
Tale misura avrebbe determinato il mancato rispetto, da parte della Regione, dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, imposti dall’art. 117 Cost., e avrebbe determinato una restrizione alla libera circolazione delle merci, anche all’interno del mercato nazionale, inducendo i consumatori a preferire i prodotti laziali rispetto a quelli provenienti da altre Regioni, in violazione dell’art. 120 Cost..
Secondo la Regione Lazio il sistema creato dalla legge, invece, non avrebbe invece introdotto alcuna discriminazione tra i prodotti laziali e quelli provenienti da altre Regioni o da altri Stati membri “non istituendo alcun legame tra marchio e territorio” e non essendo idoneo ad orientare l’interesse generale dei consumatori in direzione preferenziale di prodotti del territorio laziale. E ciò per la sua “natura del tutto neutra”», rispetto alla provenienza geografica del prodotto, posto che ne “possono fruire tutti gli operatori del settore, sia che abbiano stabilimento nella Regione Lazio, sia che svolgano la propria attività economica in altra Regione italiana o, più in generale, nel territorio degli Stati membri”.
La Corte Costituzionale ha osservato – ancora una volta – che la giurisprudenza comunitaria ritiene “misure di effetto equivalente” alle restrizioni quantitative agli scambi intracomunitari tutte le normative commerciali che possano ostacolare, anche solo potenzialmente, gli scambi nel mercato interno.
Una legge che introduca “un marchio regionale di qualità destinato a contrassegnare, sulla base di disciplinari, ed in conformità a criteri, dalla stessa stabiliti, determinati prodotti agricoli ed agroalimentari a fini, anche dichiaratamente, promozionali della agricoltura e cultura gastronomica del Lazio – è innegabilmente idonea a indurre il consumatore a preferire prodotti assistiti da siffatto marchio regionale rispetto ad altri similari, di diversa provenienza, e, conseguentemente, a produrre, quantomeno «indirettamente» o «in potenza», gli effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci”
Il divieto non può essere superato neppure considerando i due aspetti posti in evidenza dalla Regione: la finalità di tutela del consumatore e il carattere ultra-territoriale del marchio.
La tutela del consumatore, osserva la Corte, non rientra nella competenza regionale ma dello Stato (diritto civile). Né la Regione ha il compito di certificare la “qualità” di prodotti sull’intero territorio nazionale e su quello di altri Stati europei, anche in considerazione della giurisprudenza comunitaria secondo cui l’istituzione, da parte di un soggetto pubblico, di un marchio in funzione del perseguimento di una politica di qualità non lo esclude dal campo di applicazione della normativa di tutela degli scambi.
Visto che la giurisprudenza comunitaria è chiara sul punto, e che la giurisprudenza costituzionale non è da meno, c’è da chiedersi perché le Regioni insistano nell’introdurre norme che (dovrebbe essere immediatamente evidente) non avranno storia.
Grazie Donato per questo articolo che…mi ha meravigliato molto! Nel senso che l’Italia e’ piena di marchi territoriali a partire da quelli piu’famosi come “Trentino”che certifica la qualita’e la proveninza locale di prodotti agroalimentari e servizi. Ma ne potrei citare anche altri come FerraraTerra e Mare. Sempre con le stese finalita’ di promozione territoriale.
Significa che tutti questi marchi sono incostituzionali e anche contrari alla normativa europea??
Occupandomi di marketing per me questa e’ una notizia deflagrante! Perche’li ho sempre considerati una potente arma per la valorizzazione dei prodotti e dei servizi di un territorio.
Attendo con apprensione la tua risposta!
Grazie 🙂
Beatrice
In generale può dirsi che il diritto dell’UE ammette i marchi di qualità “privati”, ma non quelli “pubblici”.
Un esempio viene dalla sentenza della Corte di Giustizia 5 novembre 2002, causa C-325/00, Commissione v. Germania (la trovi al penultimo link del post).
Una legge tedesca aveva istituito un fondo per la promozione, a livello centrale, della commercializzazione e della valorizzazione dei prodotti dell’agricoltura e dell’industria alimentare tedesche attraverso la ricerca e lo sviluppo di mercati, all’interno e all’esterno del paese.
Il fondo operava tramite una società privata, una Gmbh (analoga alla nostra s.r.l.), la quale concedeva un “marchio di qualità «Markenqualität aus deutschen Landen» (qualità di marca della campagna tedesca) a prodotti finiti di una determinata qualità fabbricati in Germania”.
La Corte ha osservato, però, che se formalmente la società era privata, sostanzialmente era una società pubblica: era stata istituita con una legge, lo statuto era approvato dal ministro competente, era tenuta ad osservare le direttive del fondo (che era un ente pubblico) e a operare nell’interesse generale del settore agroalimentare tedesco, era finanziata mediante contribuzione obbligatoria da parte di tutte le imprese dei settori interessati.
Secondo la Corte “18 Un tale ente, istituito dalla legge nazionale di uno Stato membro e finanziato mediante un contributo a carico dei produttori, non può, sotto il profilo del diritto comunitario, godere della stessa libertà di cui godono gli stessi produttori o le associazioni di produttori di carattere volontario per quel che riguarda la promozione della produzione nazionale (v., in tal senso, sentenza 13 dicembre 1983, causa 222/82, Apple and Pear Development Council, Racc. pag. 4083, punto 17). Così, esso è tenuto a rispettare le norme fondamentali del Trattato in ordine alla libera circolazione delle merci quando instaura un regime, aperto a tutte le imprese dei settori interessati, il quale può avere sul commercio intracomunitario effetti analoghi a quelli derivanti da un regime instaurato da pubbliche autorità”.
Dunque, almeno sotto questo profilo, un marchio territoriale “privato” non è contrario al diritto comunitario, mentre un marchio territoriale “pubblico” non è legittimo.