Il 22 dicembre 2010 la Commissione Europea ha pubblicato la Relazione sull’applicazione della Direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale . La Relazione arriva dopo una dichiarazione e due comunicazioni della Commissione, del 2008 e del 2009, e due risoluzioni del Consiglio, del 2008 e del 2010.
Tra gli aspetti più interessanti, l’attenzione che la Commissione dedica ad Internet e ai limiti del quadro normativo esistente, perché l’offerta legale di contenuti digitali non è riuscita a tenere il passo della domanda “il che ha portato molti cittadini rispettosi della legge a commettere numerose violazioni del diritto d’autore e dei diritti connessi “caricando” e divulgando illegalmente contenuti protetti”.
Oltre alle considerazioni sugli intermediari (par. 3.3), a proposito dei quali è evidenziato il ruolo positivo delle procedure di “notice and take down” (è di pochi giorni prima la delibera dell’AGCOM che anticipa l’adozione di questo sistema anche in Italia, vedi l’articolo del 3 gennaio) ed è ricordata la normativa contenuta nella Direttiva sul commercio elettronico, è affrontato il problema della privacy.
La Direttiva Enforcement prevede il diritto di informazione: il giudice può ordinare all‘autore della violazione o ad un’altra persona che sia trovata in possesso di merci, o a utilizzare servizi, che violano un diritto, o che fornisca servizi utilizzati in attività di violazione di un diritto o che sia implicata nella produzione, fabbricazione o distribuzione di prodotti o nella fornitura di servizi che violano un diritto di proprietà intellettuale, di fornire informazioni sull’origine e sulle reti di distribuzione di merci o di prestazione di servizi.
Il problema, osserva la Commissione, sta nel bilanciamento degli interessi (Corte di Giustizia, sentenza del 29 gennaio 2008, causa C-275/06, e sentenza del 19 febbraio 2009, causa C-557/07), perché tanto la protezione dei dati/riservatezza quanto la protezione della proprietà intellettuale sono riconosciute come diritti fondamentali dalla carta dei diritti fondamentali dell’UE, mentre, continua la Commissione, “nessuna regola stabilisce che in generale il diritto alla privacy debba prevalere sul diritto alla proprietà, o viceversa”.
Un altro tema importante è quello del risarcimento del danno e dei suoi effetti, poiché i risarcimenti sono relativamente bassi e quindi privi di efficacia deterrente. Tra le proposte della Commissione, quella di risarcimenti commisurati all’indebito arricchimento dell’autore della violazione, anche se superiore al danno effettivo subito dal titolare, e quella di risarcimenti per i danni morali.
Interessante, per almeno tre diverse ragioni.
Primo, perché un risarcimento superiore al danno effettivo richiama alla mente i danni punitivi, che la Corte di Giustizia invita a trattare con cautela (sentenza 13 luglio 2006, Manfredi, procedimenti riuniti da C-295/04 a C-298/04: se le regole interne li ammettono, il principio di equivalenza impone che siano ammessi anche in caso di azioni fondate sul diritto comunitario, ma i giudici devono affinché la tutela dei diritti garantiti dall’ordinamento giuridico comunitario non comporti un arricchimento senza giusta causa).
Secondo, perché esistono già istituti che consentono ai danneggiati di ottenere importi superiori al danno subito, come la restituzione degli utili nella misura in cui eccedono il risarcimento del lucro cessante (art. 125 del Codice della Proprietà Industriale italiano).
Terzo, perché i danni morali non sembrano essere presi sul serio neppure dai giudici comunitari. E’ recente la sentenza del Tribunale UE che ha condannato proprio la Commissione (!) al risarcimento nei confronti di un produttore di software di 12 milioni e 1000 euro, di cui 12 milioni per danni patrimoniali e 1000 euro per danni morali (vedi l’articolo del 29 dicembre).
Insomma, forse un po’ di confusione…
Comunque, per chi fosse interessato, è possibile trasmettere le osservazioni alla relazione entro il 31 marzo 2011.